Carrying the signs of your emotions on your body

by Serena Nardoni

ENG

Breezy is curating an exhibition that will be held in Rome, at the Ex Cartiera on the prestigious Via Appia Antica, on April 22nd – 30th, to investigate the complex relationship between human beings and technology through the eyes of our time. To introduce the event and all the artists who will take part in it, we would share with you the process of research and study behind the creation of a curatorial concept titled: I(m)perfection: the laws of technology that dominate order and chaos. We will do this with short essays that will look at technology in its relationship with the concept of beauty, in its evolution through the centuries. We will talk about art and philosophy, order and chaos, mathematical weighting and improvisation. The question with which we want to introduce you to the reading is: Where does the purest and most authentic concept of beauty reside? In the proportion and balance of forms or, rather, in the undisciplined chaos? 

ITA

Breezy sta curando una mostra che si terrà a Roma, presso l’ex Cartiera sulla prestigiosa Via Appia Antica, il 22 – 30 aprile, per indagare il complesso rapporto tra essere umano e tecnologia con gli occhi del nostro tempo. Per accompagnare l’evento ed introdurre tutti gli artisti che vi prenderanno parte, abbiamo pensato di condividere con voi il processo di ricerca e studio che c’è dietro l’ideazione di un concept curatoriale dal titolo: I(m)perfection:le leggi della tecnica che dominano l’ordine e il caos. Lo faremo con dei brevi saggi che guarderanno alla tecnologia nel suo rapporto con il concetto di bellezza, nella sua evoluzione attraverso i secoli. Parleremo di arte e filosofia, di ordine e caos, di ponderazione matematica ed improvvisazione. L’interrogativo con cui vogliamo introdurvi alla lettura è: Dove risiede il concetto più puro e autentico di bellezza? Nella proporzione ed equilibrio delle forme o, piuttosto, nel caos indisciplinato?

Carrying the signs of your emotions on your body

ENG

In the previous contribution we talked about how humankind, in the moment in which it had to confront itself with new technological instruments, has identified nature as its object of contemplation, relating to it with reverential or nostalgic feelings. Here sentiments find space in the story of the uncontaminated natural space of his own time, which is terrible and welcoming at the same time.

But there is an invisible space that can be even more controversial than physical reality: the one of the human soul. Emotions are no longer projected onto an external object, but emerge from the skin and mark the body, which becomes a map of individual experience. The premises of this motion of relocation of the center of representation of feelings are located towards the end of the nineteenth century and, precisely, tell the story of industrial progress from a new point of view, namely that of the public citizen, a concept that did not exist until then. Art, in fact, no longer relates only to aristocratic, bourgeois or religious patrons, but also to ordinary citizens who have access to “exhibitions” (among which the “Universal Exhibitions” are particularly important, the first of which took place in London in 1851) and who are stimulated to express their own aesthetic judgment. It is not by chance that, as a reaction to an excessively didactic art – such as Realism – or a pleasant and/or mirror of everyday life – such as Impressionism – the current of Symbolism tried to re-establish the “natural” distance between the mass public and the committed lovers of artistic aesthetics.

This is a history that still ignores the upheavals that would soon tear Europe and the whole world apart. The artistic avant-garde, a military term used to define the most advanced unit during marches, in the course of the nineteenth century came to define the political, literary or artistic movements that took positions of rupture, guiding not only the taste, but also and above all the consciences of the whole society. The artist is the vate who guides the people towards disenchantment, investigates beyond the apparent message and returns the harsh reality of things, often adopting a provocative attitude and instilling disgust in the observer. Everything, in order to move the collective conscience anesthetized by the strong powers.

This sense of general disorder can also be recognised in the ferment with which these movements alternate over time, without the possibility of defining their contours: not a history of artistic currents, but of individual artists, each with his own personality and inner identity. The first to speak openly about it was Kandinsky, who in his “The Spiritual in Art” and in the essay “The Problem of Forms”, draws attention to the need to express one’s inner self. What really matters is the spiritual content, which forges the forms as a means of connection between artist and viewer, in a precarious balance between the risk of incommunicability and aesthetic formalism.

But next to a spiritual art that totally or partially disregards forms, the expressionist world includes tendencies that completely reject abstraction in order to address society, often with the intention of social and political criticism. Two opposite interpretations that nevertheless coexist in the same country, Germany. In Munich, the Symbolist tradition is represented by the Der Blaue Reiter movement, while in Dresden and then in Berlin, the Die Brücke group is active. This group places the human figure at the center of its art (“the nude, the foundation of all figurative arts”) and searches for a “German” style, combining Primitivist tendencies (common to the entire European avant-garde) with the study of xylographic works, focusing on independence from the external influences of Cubism and Futurism.

The search for the spiritual through the abstract style of Kandinsky is even mocked: art should not pursue an ideal purity, but address the public and society. The call to action, already present in Die Brücke, is now more violent and necessary, also considering the political situation in Germany in 1925. This same violence is also found in the movement of the Fauves, the French “beasts” harbingers of an inner unease that, at the end of the nineteenth century, had already found space in the art of Edvard Munch and James Ensor.

Portare sul corpo i segni delle proprie emozioni

ITA

Nel contributo precedente si è parlato di come l’uomo, nel momento in cui si è dovuto confrontare con nuovi strumenti tecnologici, abbia individuato nella natura il suo oggetto di contemplazione, rapportandosi ad essa con sentimento reverenziale o nostalgico. Ecco che i sentimenti trovano spazio nel racconto dello spazio naturale incontaminato del proprio tempo, che è terribile e accogliente allo stesso tempo.

Ma c’è uno spazio invisibile che può essere ancora più controverso della realtà fisica: quello dell’animo umano. Le emozioni non sono più proiettate su un oggetto esterno, ma affiorano dalla pelle e segnano il corpo, che diventa una mappa del vissuto individuale. Le premesse di questo moto di ricollocazione del centro di rappresentazione dei sentimenti si collocano verso la fine dell’Ottocento e, precisamente, raccontano la storia del progresso industriale sotto un inedito punto di vista, ossia quello del pubblico cittadino, un concetto fino a quel momento inesistente. L’arte, infatti, non si relaziona più solamente con la committenza aristocratica, borghese o religiosa, ma anche col cittadino comune che ha accesso alle “esposizioni” (tra le quali particolare rilievo hanno le “Esposizioni Universali”, la prima delle quali si svolge a Londra nel 1851) e che è stimolato nell’esprimere un proprio giudizio estetico. Non è un caso che, quale reazione ad un’arte eccessivamente didascalica – come il Realismo – ovvero piacevole e/o specchio della quotidianità – come l’impressionismo – la corrente del Simbolismo cerchi di ristabilire la “naturale” distanza tra il pubblico di massa e gli impegnati cultori dell’estetica artistica.

Questa è una storia che ancora ignora gli stravolgimenti che di lì a poco avrebbero dilaniato l’Europa e il mondo intero. Le avanguardie artistiche, termine militare con il quale era definito il reparto più avanzato durante le marce, nel corso dell’Ottocento va a definire i movimenti politici, letterari o artistici che assumono posizioni di rottura, guidando non solo il gusto, ma anche e soprattutto le coscienze della società intera. L’artista è il vate che guida il popolo verso il disincanto, indaga oltre il messaggio apparente e restituisce la dura realtà delle cose, spesso anche adottando un atteggiamento provocatorio e instillando il disgusto nell’osservatore. Tutto, pur di smuovere le coscienze collettive anestetizzate dai poteri forti.

Questo senso di disordine generale si riconosce anche nel fermento con cui questi movimenti si avvicendano nel tempo, senza la possibilità di definirne i contorni: non una storia di correnti artistiche, ma di singoli artisti, ognuno con una propria personalità e identità interiore. Il primo a parlarne apertamente è Kandinskij, che nel suo “Lo spirituale nell’arte” e nel saggio “Il problema delle forme”, richiama l’attenzione sulla necessità di esprimere la propria interiorità. Ciò che davvero conta è il contenuto spirituale, che forgia le forme quali mezzo di connessione tra artista e fruitore, in un precario equilibrio tra il rischio di incomunicabilità e di formalismo estetico.

Ma accanto ad un’arte spirituale che prescinde del tutto o in parte delle forme, il mondo espressionista comprende tendenze che rifiutano del tutto l’astrazione per rivolgersi alla società, spesso con intento di critica sociale e politica. Due opposte interpretazioni che pur convivono nello stesso Paese, ossia la Germania. A Monaco si segue la tradizione simbolista con il movimento Der Blaue Reiter, mentre a Dresda e poi a Berlino è attivo il gruppo di Die Brücke, che pone al centro dell’arte la figura umana («il nudo, fondamento di tutte le arti figurative») e ricerca uno stile “tedesco”, affiancando le tendenze primitiviste (comuni a tutta l’avanguardia europea) allo studio delle opere xilografiche, calcando sull’indipendenza dalle influenze esterne di Cubismo e Futurismo.

La ricerca dello spirituale condotta attraverso lo stile astratto di Kandinskij viene addirittura sbeffeggiata: l’arte non deve inseguire una purezza ideale, ma rivolgersi al pubblico e alla società. Il richiamo all’azione, già presente in Die Brücke, è ora più violento e necessario, considerata anche la situazione politica della Germania nel 1925. Questa stessa violenza trova sfogo anche nel movimento dei Fauves, “le belve” francesi foriere di un disagio interiore che, a fine Ottocento, già aveva trovato spazio nell’arte di Edvard Munch e James Ensor.

Edvard Munch, The Scream, 1893, National Gallery and Munch Museum, Oslo, Norway.

ENG

Thanks to the inheritance received, Expressionism is a socially and politically “committed” movement, but while the Fauves express themselves with a mythical and universal classicism, reinterpreted in a dreamlike key, Die Brücke rebels against an oppressive past, in the memory of which the present is lost.

Even the feeling that moves the two movements is different: recalling the production of Henri Matisse, emerges the vitalistic drive, joy and energy transmitted through the use of color in a symbolic key. Just the joy of living is the subject of one of his greatest masterpieces, where the theme of the bathers, dear to Cézanne, is reinterpreted by focusing on the dimension of well-being and joy shared. Through the use of highly saturated colors, the two-dimensional rendering of volumes, the predominance of yellow and warm tones, he conveys not so much a sense of calm and tranquility, as the vibration of the dream, of “everything is possible,” the vitalistic energy that exudes from nature and, with it, from bodies. These are years of strong innovation in the production sector, years in which everything runs fast on the tracks of that movement also avant-garde that will be Futurism, years in which there really seem to be no limits, especially in the fervent intellectual climate of Paris in those years, a must for lovers of the arts.

ITA

Forte dell’eredità ricevuta, l’Espressionismo si pone quale movimento socialmente e politicamente “impegnato”, ma mentre i fauves si esprimono con una classicità mitica e universale, riletta in chiave onirica; il Die Brücke si ribella ad un passato opprimente, nel cui ricordo il presente si disperde.

Ancora diverso è anche il sentimento che muove i due movimenti: ricordando la produzione di Henri Matisse, emerge la spinta vitalistica, la gioia e l’energia trasmesse attraverso l’uso del colore in chiave simbolica. Proprio la gioia di vivere è il soggetto di uno dei suoi maggiori capolavori, dove il tema delle bagnanti, caro a Cézanne, è reinterpretato calcando sulla dimensione di benessere e gioia condivise. Attraverso l’uso di colori molto saturi, la resa bidimensionale dei volumi, la predominanza del giallo e delle tonalità calde, si trasmette non tanto un senso di quiete e pacatezza, quanto la vibrazione del sogno, del “tutto è possibile”, l’energia vitalistica che trasuda dalla natura e, con essa, dai corpi. Sono anni di forte innovazione del settore produttivo, anni in cui tutto corre veloce sui binari di quel movimento anch’esso avanguardistico che sarà il Futurismo, anni in cui davvero non sembrano esserci limiti, soprattutto nel fervente clima intellettuale della Parigi di quegli anni, tappa imperdibile per gli amanti delle arti.

Henri Matisse, Joy de vivre, 1905-06, Merion, Barnes Foundation

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The inner journey led by the artists of Die Brücke does not look optimistically towards the goal, but rather restlessly treads every single furrow left along the way: the focus of the research of this group is the creative action of the artist, where the technique precedes the image. It is not by chance that the most widespread technique is the xylography, which consists in digging with an act of force a wooden matrix, on which a sign is impressed with a rigid and angular aspect. A jerkiness that remains even in painting, where the brushstroke has the same strength of the engraving, the color mixture is dense and full-bodied, spread in spots and without steps of tone or shade. The style exalts the ugliness of the human soul, nostalgically expressing a beauty now corrupted by the difficulties of life.

ITA

Il viaggio interiore condotto dagli artisti del Die Brücke non guarda con ottimismo alla mèta, bensì calca con irrequietezza ogni singolo solco lasciato lungo il percorso: il fulcro della ricerca di questo gruppo è l’azione creativa dell’artista, laddove la tecnica precede l’immagine. Non a caso la tecnica maggiormente diffusa è la xilografia, che consiste nello scavare con un atto di forza una matrice in legno, sulla quale si imprime un segno dall’aspetto rigido e spigoloso. Una scattosità che permane anche nella pittura, dove la pennellata ha la stessa forza dell’incisione, l’impasto del colore è denso e corposo, steso a macchie e senza passaggi di tono o sfumature. Lo stile esalta le brutture dell’animo umano, esprimendo nostalgicamente una bellezza ormai corrotta dalle difficoltà della vita.

Egon Schiele, Self-portrait with lowered head, 1912, Leopold Museum, Wien

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The sentiment that is common to the two motions of Expressionism is that of dissociation from Impressionism, in its character essentially linked to the sensations that from the outside world are captured by the artist as an impression left in the consciousness. Expression is a motion that from the inside manifests itself on the outside, disfiguring even the body. That sense of unmentionable rot, that split in the soul that we try to stifle in the eyes of society, emerge beyond the very thin surface of the epidermis, with devastating effects: grotesque grimaces, swollen or skeletal bodies with a sickly color.

From what do these uglinesses derive? Certainly the criticism is of the social spirit of the time, now marked by the affirmation of industrialization that has alienated the human being and suffocated his creative spirit, his identity. We are robots that operate machines capable of working on our behalf. Only art, as purely creative work, can lift man up again and put him in touch with “the beautiful”.

Here we see one of the greatest conflicts of modern man: the one between human being and machine. And yet, can we really still talk about a real conflict? Progress, like a medal, has its two faces: on the one hand the growth of well-being and on the other the distancing from the inner and creative dimension. Because progress is not only alienation and mechanization of production processes, but also a disorientation of the self caused by running too fast.

Is it possible to understand these opposing motions as the impulses of the same heart, rather than as antagonistic forces that tear the human soul apart? Certainly yes, and we can only do this by trying to actually become something unique with the result of the progress we pursue and strongly desire.

Technology is not something external to us or an uncontrollable monster, but it’s part of our thinking, a response to needs that until yesterday we didn’t even know we had, but still part of the ancestral propensity of the human being to seek knowledge. Again and again. Technology is our creature, it’s like a child that, once given birth, nourished and grown up, turns towards its parent and supports him in turn, showing him further incredible possibilities.

Coexistence is the right word. Peaceful and conscious coexistence.

ITA

Il sentimento comune ai due moti dell’Espressionismo è quello di dissociazione dell’Impressionismo, nel suo carattere essenzialmente legato alle sensazioni che dal mondo esterno sono catturate dall’artista come un’impressione lasciata nella coscienza. L’espressione è un moto che dall’interno si manifesta all’esterno, deturpando anche il corpo. Quel senso di marcio inconfessabile, quella spaccatura dell’animo che cerchiamo di soffocare agli occhi della società, emergono oltre la superficie sottilissima dell’epidermide, con effetti devastanti: smorfie grottesche, corpi tumefatti o scheletrici dal colore malato.

Da cosa derivano queste brutture? Certamente la critica è allo spirito sociale del tempo, ormai segnato dall’affermazione dell’industrializzazione che ha alienato l’essere umano e soffocato il suo spirito creativo, la sua identità. Siamo automi che azionano macchine capaci di operare in vece nostra. Solo l’arte, come lavoro puramente creativo, può sollevare nuovamente l’uomo e rimetterlo in contatto con “il bello”.

Ecco che si palesa uno dei maggiori conflitti dell’uomo moderno: quello tra essere umano e macchina. Eppure, davvero possiamo ancora parlare di un vero e proprio conflitto? Il progresso, come una medaglia, ha le sue due facce: da un lato la crescita del benessere e dall’altra l’allontanamento dalla dimensione interiore e creativa. Perché il progresso non è solo alienazione e meccanicizzazione dei processi produttivi, ma anche un disorientamento del proprio io causato dal correre troppo veloce.

È possibile intendere questi moti opposti come le pulsioni di uno stesso cuore, piuttosto che come forze antagoniste che strappano l’animo umano? Certamente sì, e possiamo farlo solo cercando di diventare effettivamente qualcosa di unico con il risultato del progresso da noi perseguito e fortemente voluto.

La tecnologia non è qualcosa di esterno a noi o un mostro incontrollabile, ma è parte del nostro pensiero, una risposta a necessità che fino a ieri neppure sapevamo di avere, ma che rientra pur sempre nell’ancestrale propensione dell’essere umano a ricercare la conoscenza. Ancora e ancora. La tecnologia è una nostra creatura, è come un figlio che, una volta dato alla luce, nutrito e cresciuto, si volta verso il proprio genitore e lo sostiene a sua volta, mostrandogli ulteriori incredibili possibilità.

Convivenza è la parola giusta. Una pacifica e consapevole convivenza.